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20/4/2014 – INTERVISTA – Libera professione: ne parliamo con il

Dottor Folegatti

Dottor Giampaolo Folegatti,come considera la libera professione italiana e come la colloca nella scala dell’eccellenza sanitaria nazionale?

Credo che la libera professione odontoiatrica italiana offra ad un osservatore esperto un ventaglio di posizioni e di valutazioni diverse tra loro e per certi versi diametralmente opposte. Spiccano in questo vasto panorama espressioni di vera eccellenza professionale, riconosciuta a livello mondiale, alternate a figure che offrono una visione imprenditoriale della professione all’insegna del facile guadagno, dando minore importanza al reale bisogno del paziente. Così la professione diventa businness, veloce, con poco follow-up, all’insegna del “mordi e fuggi”. Lo definirei un attegggiamento deludente e privo di fondamento, sostenuto da una politica dettata dal momento contigente particolarmente difficile che sta attraversando il nostro Paese. Ma esiste, e credo sia la maggior parte, un odontoiatria rappresentata dai professionisti che studiano e realizzano “alla luce del sapere e del saper fare” piani di trattamento adeguati e rispettosi dei pricipi biologici, della conoscenza e della medicina applicata all’odontoiatria. La merceologia, la protesica, i comportamenti dei materiali, la loro usura nel tempo finalizzano il piano di trattamento. Al centro la salute orale del paziente che si rivolge all’ambulatorio odontoiatrico per la cura della propria bocca e non per soluzioni improvvisate e imprenditoriali. Un lavoro, direi, pieno di amore per la professione, testimoniato nei numerosi congressi nel nostro Paese e dai relatori dell’eccelenza che da sempre ci rappresentano nel mondo. La realtà dell’ECM applicata all’odontoiatria ha contribuito ad un miglioramento generale dello standard qualitativo odontoiatrico. L’odontoiatra chiuso all’innovazione e legato alla professione come strumento utile per produrre ricchezza non troverà spazio per molto tempo ancora.

L’odontoiatria italiana negli ultimi tempi, forse per merito di alcuni dirigenti nazionali, sembra abbia raggiunto una maggiore coesione. Secondo lei anche il rapporto fra libera professione e università ha avuto lo stesso trend?

Università come formazione, sede di ricerca e di sviluppo, fabbrica di giovani operatori preparati e coscienziosi: se questa è l’università italiana non può che essere l’anticamera per la libera professione. Università e libera professione devono tendersi la mano e collaborare allo sviluppo reciproco. I liberi professionisti dovrebbero entrare nelle università sin dai primi anni di formazione del giovane discente.Questo già avviene peraltro in alcune università italiane proiettate verso un concetto di formazione moderno che guarda all’eccellenza nella formazione undergraduate. È anacronistico pensare alle due realtà divise da dogmi che fanno parte del passato.

Sapendo che i fondi sanitari integrativi del servizio sanitario nazionale sono regolamentati da una legge dello stato, cosa pensa del terzo pagante? Questo strumento normativo ha effettivamente facilitato o faciliterà l’accesso alla poltrona odontoiatrica?

Il terzo pagante rappresenta un radicale cambiamento dell’aspetto economico tra medico e paziente. L’assicurazione sanitaria già presente da tempo  in altri paesi garantisce la prestazione sanitaria a sempre più ampie categorie  di pazienti. I fondi di assistenza però dovrebbero attenersi a tariffe più vicine alla realtà. Infatti i prezzi dei rimborsi proposti si discostano parecchio da quelli che sono i costi di una prestazione eseguita secondo i canoni e le linee guida attuali. Si corre il rischio di cadere nelle prestazioni low cost – low quality a discapito della salute orale dei pazienti. Le spese di gestione di una struttura odontoiatrica al passo con i tempi sono elevati: attrezzature all’avanguardia e costo del lavoro dipendente incidono non poco. I fondi assicurativi non possono stabilire rimborsi senza un’analisi attenta. Le tariffe devono essere concordate con le associazioni delle categorie interessate.

Le Raccomandazioni Cliniche del Ministero della Salute definiscono criteri di appropriatezza clinica, tecnologica e strumentale per garantire ai cittadini-pazienti la qualità delle prestazioni e una maggiore tutela della salute. Secondo lei è possibile conciliare qualità e costi?

Non si può che essere concordi con le linee guida del ministero della salute. Il problema secondo me è sovrapponibile a quanto detto sopra. È difficile pensare a prestazioni di qualità, utilizzando protocolli ministeriali, e farlo a costi inadeguati per sostenerli. Tutte le categorie interessate, operatori del settore, aziende produttrici e organi ministeriali, dovrebbero avere una linea comune per ottenere quanto stabilito nelle linee guida. Il professionista da solo non potrà risolvere il problema ed attenersi a quanto stabilito dal Ministero.

La crisi economica e l’aumento dell’età media hanno modificato le richieste dei pazienti?

Certamente la crisi economica ha modificato il rapporto tra la popolazione e la categoria odontoiatrica. La riduzione della disponibilità economica di molte famiglie italiane ha portato ad una flessione nei consumi e cambiato le abitudini di molti. La spesa del dentista, già di per sé importante, porta obbligatoriamente il paziente a scelte alternative. Occorre però una presa di posizione seria e deontologicamente ineccepibile da parte della classe odontoiatrica per risolvere il problema. Una posizione mirata a non dispensare piani di trattamento che abbiano come unico obiettivo l’abbassamento del preventivo. L’odontoiatra esegue terapie importanti per la salute orale, spesso irreversibili, come per esempio l’inserimento di impianti endossei osteointegrati. Ecco che una terapia implantare sbagliata o solo momentaneamente soddisfacente (ai fini economici) toglie ulteriori possibilità di migliorare qualora il paziente avesse possibilità per farlo.

Il “turismo odontoiatrico” e le cliniche low cost hanno influenzato i normali protocolli terapeutici?

Il turismo odontoiatrico comparso in Italia negli anni Settanta ha proposto e propone tecniche e terapie che non sono condivisibili dalla realtà che viviamo nel nostro Paese. Dalle linee guida del Ministero della salute si traggono protocolli, tecniche e tempi di lavorazione che discordano profondamente da quanto applicato in altri paesi. Molte sono le ombre: dai tempi di realizzazione dei piani di trattamento all’alterazione del rispetto dei tempi biologici dei protocolli internazionali,  per finire con proposte economiche difficilmente applicabili nel nostro Paese.

Cosa pensa dell’odontoiatria mini invasiva? Moda o esigenza? Prevenire stress e ansia della seduta dal dentista può garantire un maggior accesso alle cure?

I nuovi trend terapeutici tendono verso tecniche mini invasive per l’ottenimento del risultato, anche in altre branche della chirurgia generale. Credo che questo sia dovuto all’evoluzione della scienza e della conoscenza delle discipline mediche tra cui quella odontoiatrica. Basti pensare per esempio all’evoluzione dell’approccio chiururgico della terapia implantare negli ultimi decenni. Per quanto mi riguarda porto avanti da molti anni la filosofia del mantenimento del circolo vascolare e del patrimonio cellulare sito specico e sostengo convinto che preservare sia  meglio che rigenerare. Mini invasività vuol dire agire secondo tecniche e materiali sviluppati con il contributo e la crescita di tutti gli addetti ai lavori. Le terapie flapless, i post estrattivi immediati, il manegement protesico dei tessuti in fase di guarigione sono solo alcuni esempi, così come le tecnologie cad-cam di ultima generazione, la chirurgia computer assistita eccetera. Ciò significa vantaggi biologici in primis ed economici poi e permette un ampliamento dell’applicabilità delle tecniche odontoiatriche avanzate, di cui potranno fruire anche pazienti con patologie sistemiche che fino a qualche tempo fa rendevano difficile qualsiasi trattamento.

L’intevista è pubblicata anche qui:
http://www.ariesdue.it/interviste.asp?id=89

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